Se n’è andato anche il Lupo, Pietro Amadio, conosciutissimo Sottufficiale del Battaglione Sabotatori paracadutisti, prima, e del 9° Col Moschin poi. Il Lupo, punto di riferimento ed esempio per generazioni di paracadutisti, sabotatori ed incursori; e lui stesso paracadutista, sabotatore ed incursore di razza, come si dice. Di gran razza. Montanaro vero, come solo sapevano esserlo i ragazzi della prima metà del secolo scorso cresciuti dove l’Appennino si fa più tosto, in quell’Abruzzo e in quell’Irpinia dove il sole picchia duro e il maltempo non si limita ad essere tale ma si trasforma in bufera, anzi in bùfera come diceva lui a noi pinguini ingrumati che gli arrancavamo dietro sbuffando e imprecando (sottovoce per non farlo imbufalire!) su per i bricchi delle Alpi delle quali era diventato un conoscitore ed amante come pochi. Lui, Accademico e Istruttore di alpinismo, era un paracadutista d’altri tempi, che apriva la bocca solo per dire cose vere, parole sincere. Parole che si trasformavano in proverbi e in mottetti per battezzare e trasformare gli scansafatiche, quelli col fiato corto, quelli che preferivano la discesa, in favore di gravità, in lupetti appassionati come lui nella caccia alle imprese difficili. Appassionati della fatica, del freddo, del sudore che nessuno come lui sapeva trasformare in vera scuola di vita. In filosofia di vita.
Se n’è andato in tarda età, dopo una breve ma devastante malattia che l’ha privato alle figlie ma che l’ha ricongiunto ad Onorina, la sua dolce sposa scomparsa un anno fa. Se n’è andato in questo grigio tramonto della luce nel quale il distanziamento tra le persone è scambiato per valore, la rinuncia ai contatti è diventata un obbligo; dove il nascondimento dell’identità dietro barriere di garza sul muso si impone come simbolo di un’epoca che bandisce l’identità e la personalità. Soprattutto quelle dei forti come lui.
Un Sottufficiale d’altri tempi si diceva una volta. Uno di quelli che hanno piena consapevolezza del proprio insostituibile ruolo di motore e carburante della macchina militare che da loro dipende, del battaglione che li macina, del mondo che li esprime. Uno che diceva pane al pane, con tutti e senza timidezze, con la forza che viene dall’educazione e dalla ragione, soprattutto quando c’è da valorizzare un giovane, da raddrizzare o indirizzare chi ne ha bisogno. Giovane o vecchio, superiore o inferiore che sia.
Ha vissuto una vita degna, in un’epoca nella quale non era difficile alimentare il proprio orgoglio di Italiani rispecchiandosi in personaggi della sua levatura morale, della sua forza fisica, della sua prorompente ed inesauribile generosità.
Ed è stato un uomo che ha amato molto. Ha amato la sua famiglia come il suo battaglione; la sua sposa e le sue figlie come i giovani scapestrati che affidati alle sue cure si trasformavano in poco tempo in guerrieri; i suoi bricchi come l’orto che negli ultimi anni curava con l’esperienza e la passione ritrovata del montanaro che in tenera età aveva scelto la strada delle armi e del dovere con le stellette sul bavero e le ali argentate sulla giubba.
Ed era uno che sapeva consigliare veramente, senza fare dei consigli la sua specialità, come i tanti esperti nel giudicare il lavoro di chi si da da fare e nei mille modi per lasciarglielo fare da solo. Lui, da solo non ha mai lasciato nessuno.
Non ci riuscirai neanche questa volta, Lupo. Almeno per un bel pezzo ti porteremo con noi.