ASSOCIAZIONE NAZIONALE

  PARACADUTISTI D'ITALIA

RITORNO AL PASSATO O AL FUTURO? ALCUNE RIFLESSIONI SUL CAMBIO DI DIPENDENZA DELLA FOLGORE

Il Generale Marco Bertolini approfondisce il significato e le conseguenze del cambio di dipendenza della Brigata Folgore.

 

Il recente cambio di dipendenza della Brigata paracadutisti Folgore ha riacceso il dibattito tra i paracadutisti e gli appassionati del mondo militare, sollevando domande cruciali sul futuro di questa storica unità. In questo comunicato, il Gen. CA (ris) Marco Bertolini, Presidente Nazionale dell’ANPd’I, offre una riflessione approfondita su questa decisione e sulle sue implicazioni per la Folgore e per l’Esercito italiano nel suo complesso. Le parole del Generale tracciano un filo che lega passato e futuro, mettendo in luce le sfide e le opportunità che questo cambiamento porta con sé. Un’analisi che va oltre le apparenze, per comprendere il vero significato di un provvedimento che riguarda da vicino tutti coloro che hanno a cuore le sorti della nostra Grande Unità elementare.

Comunicato:

Il precedente articolo su assopar.it in merito al passaggio di dipendenza della Brigata paracadutisti Folgore dal Comando Forze Operative Nord al Comando delle Forze Operative Terrestri (Comfoter) ha registrato moltissime visualizzazioni e ha innescato molti commenti che testimoniano l’attenzione che i nostri soci riservano per la nostra Grande Unità elementare (G.U.el.) di riferimento. Tra i molti commenti di soddisfazione per il provvedimento ordinativo e di gratitudine per il nuovo Capo di SME (Gen. Carmine Masiello) che l’ha voluto, ne compaiono però alcuni che mi fanno ritenere non inutili alcune considerazioni anche da parte mia. Non ho naturalmente la pretesa di esaurire in poche righe una questione molto complessa, dalle moltissime implicazioni non solo di carattere operativo in senso stretto che attengono anche alla realtà attuale della Forza Armata nel suo complesso, ma credo che il provvedimento meriti la consapevole attenzione dell’Associazione che rappresenta i paracadutisti e il paracadutismo militare nell’ambito civile.

L’Esercito è una realtà poliedrica e sfaccettata (divisa in Armi e Specialità di vario genere) e questo è il valore aggiunto che lo differenzia dalle altre Forze Armate.

Certo, anche Marina, Aeronautica e Carabinieri hanno realtà al proprio interno che si differenziano dalla “norma” della relativa Forza Armata, o dell’Arma per i CC, ma per l’Esercito non esiste neppure una “norma” alla quale fare riferimento e le sue varie componenti, seppur a livello distinto e con diversi pesi specifici, concorrono tutte allo scopo comune con prestazioni indispensabili, a pari dignità. Per fare un esempio, senza l’Arma delle trasmissioni le migliori unità corazzate, di fanteria o di artiglieria non sarebbero in grado di svolgere alcun compito operativo significativo. Viceversa, senza le unità da combattimento, l’Arma delle trasmissioni non avrebbe ragion d’essere. Lo stesso vale per le unità del genio o per quelle logistiche che svolgono un ruolo fondamentale nell’alimentazione dello strumento operativo. Ci sono insomma differenze, anche grandi, tra le varie realtà, ma ognuna di queste è funzionale all’obiettivo complessivo e comune. Per fare un altro esempio riferito agli scenari attuali, il fatto di dotarsi dei migliori paracadutisti, delle migliori Forze Speciali o delle più professionali truppe da montagna, sarebbe insufficiente se queste unità non fossero inquadrate in un contesto rappresentato da una adeguata quantità di reparti corazzati, di fanteria e di artiglieria come quelli che vediamo operare da entrambe le parti in Ucraina. E viceversa.

Data per scontata questa pari dignità e pari importanza tra tutte le realtà della Forza Armata, la rispettiva collocazione ordinativa deve rispondere a criteri di funzionalità operativa specifici.

Poco servirebbe far dipendere gli alpini da un Comando Territoriale in Sicilia o da un Comando di unità corazzate, ad esempio, per motivi sui quali non credo ci sia bisogno di soffermarsi. A maggior ragione, non avrebbe senso far dipendere le Forze Speciali, designate per la condotta di compiti di rilevanza strategica, da un Comando di livello tattico (Divisione, Brigata, reggimento). Questa considerazione è stata alla base della nascita del COFS a livello Difesa nel 2004 e del COMFOSE in ambito Esercito un decennio dopo. Ma lo stesso principio in qualche misura vale per i paracadutisti. Si tratta, nel loro caso, di forze di particolare rilevanza per il tipo di personale, per la selezione dello stesso, per l’addestramento che prevede l’impiego con stretti tempi di preavviso, nonché per la vocazione ad operare anche con elevati livelli di autonomia tattica. Essendo unità “leggere” per costruzione (almeno quelle dei paesi come l’Italia) non possono comunque produrre sforzi prolungati nel tempo senza un adeguato rinforzo tattico e logistico che deve arrivare dall’esterno.

Di fatto, queste caratteristiche dovrebbero fare considerare i paracadutisti unità “di pronto impiego” per far fronte a esigenze improvvise, o unità di riserva da utilizzare a ragion veduta dove la situazione tattica lo richieda.

Al contrario, azioni strategiche a seguito di aviolanci/aviosbarchi d’assalto in grande scala che si propongano di raggiungere quasi autonomamente l’obiettivo della battaglia non sono più avvenuti dopo l’invasione di Creta da parte dei fallschirmjager tedeschi nel 1941. Anche nell’operazione Overlord con la quale iniziò l’invasione della “Fortezza Europa” da Nord, infatti, il lancio dei paracadutisti alleati rappresentava solo un tassello di un disegno molto più ampio che coinvolgeva unità da sbarco, unità di fanteria, unità corazzate, di artiglieria, del genio, eccetera, limitando la disamina alle sole forze di terra.

Le prime operazioni fuori area.

Questa idea di avere nei paracadutisti un’unità spendibile da parte del Comando superiore (a livello tattico o strategico) era in un certo senso rispecchiata dalla realtà delle nostre aviotruppe nel dopoguerra, quando negli anni ’70 si era arrivati alla configurazione della Folgore che ha affrontato le prime operazioni fuori area. La Folgore di quell’epoca, infatti, non era inserita in una delle Divisioni delle quali ancora disponevamo e dipendeva per le attività di guarnigione e ai fini amministrativi, di gestione del personale e logistici da un comando territoriale (Il comando Regione Militare Tosco Emiliana); ma ai fini operativi era lo Stato Maggiore dell’Esercito che la impiegava, come avvenne nelle prime operazioni fuori area per le quali il paese non era ancora preparato (Libano, Nord Iraq e Somalia). Nello specifico, il fatto che i paracadutisti (anche quelli di leva) scegliessero volontariamente la specialità superando un impegnativo corso di paracadutismo, nel nostro strumento militare basato ancora sulla coscrizione obbligatoria consentiva di prescindere dalla volontarietà che veniva invece chiesta ai militari delle altre Armi per essere impiegati in operazioni all’estero. Ai paracadutisti non era necessario chiedere niente, insomma, fermo restando che chi avesse avuto problemi sarebbe stato lasciato in Italia. Ma non accadeva quasi mai.

 

C’è da osservare che la Brigata di allora (che arrivava ad inquadrare anche più di 12.000 uomini come una Divisione) era a sua volta composta da unità che da un punto di vista dell’impiego potevano rispondere per esigenze particolari a Comandi diversi e sovraordinati alla G.U.el. stessa. Era questo il caso del 9°btg.d’assalto par.”Col Moschin” che spesso veniva precettato dallo SME, che ne curava e monitorava direttamente l’equipaggiamento  e l’addestramento tramite l’Ufficio Operazioni del III Reparto, il 1° btg.CC par.”Tuscania” frequentemente impiegato direttamente dal Comando Generale dell’Arma soprattutto per il controllo di selezionate aree del paese a supporto e integrazione dell’Arma territoriale, il 26°gr.sqd.elicotteri ”Giove” per molti aspetti soprattutto di carattere normativo e logistico collegato direttamente al Comando AVES, per concludere ovviamente con la SMIPAR che, prima di transitare nella Brigata dipendeva dall’Ispettorato delle Armi di Fanteria e Cavalleria. Insomma, una realtà particolare e “unica” quella della Folgore, che però funzionava.

L’ultimo quinquennio

Si arrivò così all’ultimo quinquennio del secolo scorso, quando la Forza Armata intraprese una nuova strada con le figure dei “Volontari” (termine che a mio parere si è sostituito con troppa disinvoltura alla nobile qualifica di “Soldato”) proprio per marcare anche semanticamente una differenza tra il personale di leva e quello “professionista” del quale si sentiva bisogno, soprattutto dopo i Caduti di leva in Somalia.

 

Il cambio di tipologia di personale (tutti Volontari, insomma) convinse la FA che era il momento di cambiare anche ordinativamente la struttura dell’Esercito. In un certo senso non c’era più bisogno dei paracadutisti come sostituti delle altre specialità ormai tutte basate su “professionisti“ (anche questo brutto termine meriterebbe qualche riflessione critica) e in Bosnia nel ’95 i primi ad essere impiegati furono infatti i bersaglieri della Garibaldi, anche se con un supporto qualificato di alcuni Ufficiali della Folgore, tra i quali il Vice Presidente Nazionale e quello che ora è il Capo di SME, all’epoca nel grado di Maggiore. Man mano si alternarono in quel teatro, e in quelli che seguirono, anche alpini, fanti, cavalieri e così via fino ai giorni nostri.

 

Le ristrutturazioni

Contemporaneamente, l’Esercito subiva varie ristrutturazioni, costantemente in termini riduttivi, fino ad arrivare alla situazione attuale nella quale le G.U. operative superstiti dipendono da due Comandi delle Forze Operative (Nord a Padova e Sud a Napoli), mentre il livello a questi Comandi sovraordinato (COMFOTER) mantiene alle sue dipendenze anche  2 Divisioni “di pianificazione” (senza Brigate alle dipendenze) e, dall’atto della sua creazione, il Comando Forze per le Operazioni Speciali dell’Esercito (COMFOSE).

Queste trasformazioni non sono state indolori per la Folgore, inserita come una G.U.el. ”qualsiasi” alle dipendenze del COMFOP Nord presso il quale non erano presenti, anche per una semplice ragione di carattere geografico, Ufficiali con pregresse esperienze sulle peculiarità della Brigata e sulle specifiche necessità della sua attività principe. La proposta di un Comando Aviotruppe che, in analogia al Comando Truppe Alpine, inquadrasse Folgore, Forze Speciali e, magari, Brigata aeromobile, era infatti stato accantonato definitivamente da anni e forse anche per questa naturale mancanza di sensibilità per la “chimica” particolare dei paracadutisti, l’attività aviolancistica della Folgore che già da tempo soffriva a causa di una costante carenza di vettori rispetto al passato, si fece acuta fino a ridursi al lumicino. Tra le cause di questa crisi anche le conseguenze di una serie di processi per incidenti aviolancistici di fronte ai quali la Brigata venne lasciata da sola a cercare di contemperare le esigenze addestrative (che hanno la loro origine nelle esigenze operative, è sempre il caso di rammentarlo) con un approccio da “antinfortunistica” che cominciava allora a insinuarsi paradossalmente nelle attività addestrative, fino a debordare successivamente anche in quelle operative. Comunque sia, da qui la ricerca di soluzioni innovative, come il “pallone” aerostatico, che comunque porta in dote altri problemi pratici e normativi da affrontare. Che anche l’ANPDI in un contesto del genere si sia sentita sguarnita nel difendere l’attività aviolancistica che da quasi ottant’anni svolgeva per conto dell’Esercito è quindi ovvio.

 

Comunque, tornando alla nostra Brigata, impiegare la Folgore o una qualsiasi Brigata alpini o di fanteria nelle operazioni fuori area era ormai ritenuto indifferente e, con la fine del ventennale impiego in Afghanistan, si faceva sempre più pressante l’impiego in attività di rilevanza operativa quasi nulla per le FA come Strade Sicure, con migliaia di uomini a piantonare stazioni e strade cittadine, sottraendo risorse e tempo all’addestramento. Naturalmente la Folgore non è stata esentata da questa nuova necessità, ribaltando un po’ quella che era la norma del passato quando si cercava di preservare l’addestramento dell’unica G.U.el. composta da personale in qualche modo “volontario”.

Un ritorno al  passato per guardare al futuro

Ecco, è in questo contesto che la decisione del Capo di SME si inserisce, non sappiamo se esclusivamente sua sponte (come ritengo molto probabile) o come conseguenza di uno studio precedente. L’attribuzione della dipendenza della Folgore dal COMFOTER rappresenta insomma un “ritorno al passato”, indispensabile però per affrontare un futuro che non sarà tranquillo. Certamente non basta un tratto di penna o il cambio di una lineetta in un grafico ordinativo per cambiare la situazione. Così come non si possono fare buoni soldati con la fotocopiatrice, non si possono con la stessa stampare soldi da destinare alle caserme, all’addestramento ed ai materiali. Ma il fatto di posizionare la Folgore alle dipendenze dello stesso Alto Comando dal quale dipende il COMFOSE (per due terzi composto da unità che nella Folgore sono nate e che della Folgore continuano a rappresentare un riferimento assoluto, Col Moschin e 185°RRAO) rappresenta un atto di giustizia e soprattutto crea le premesse perchè alle complesse problematiche della Brigata venga riservata la necessaria attenzione e cura.

Grazie ancora allo SME e al suo Capo per questo provvedimento che ci rende ancora più orgogliosi di quello che cerchiamo, spesso con “logori arnesi” come diceva Kipling, di rappresentare.

Il Presidente Nazionale dell’ANPd’I – Gen. CA (ris) Marco Bertolini

3 risposte a “RITORNO AL PASSATO O AL FUTURO? ALCUNE RIFLESSIONI SUL CAMBIO DI DIPENDENZA DELLA FOLGORE”

  1. Sicuramente un provvedimento che rende giustizia alla preparazione ed alla professionalità degli uomini della Folgore anche se operativamente, senza vettori in grado di avuotrasportatla resta un provvedimento privo di reale efficacia

  2. Spero inoltre che, come paventato dal nostro Presidente, non si tratti di un provvedimento voluto solo dall’ attuale Capo di SME, ma derivante da uno studio condiviso da tutto lo stesso SME, altrimenti fra un paio di anni ci ritroveremo chissà sotto quale CDO periferico

  3. L’analisi di Marco, abbraccia più sfaccettature del nostro Esercito e la stessa potrebbe essere sottoposto all’attenzione dell’Accademia/ISSMI e far parte di qualche conferenza, o seminari che trattano livelli ordinativi. È ritornato a Cesare quello che era di Cesare! La capacità decisionale del nostro Ca. SME, è indiscussa, per cui poco importa se questa riorganizzazione (che potrebbe essere antesignana di altre) appartenga ad ipotesi passate.

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