IL GENERALE FRANCO MONTICONE
Ce l’aspettavamo…anche se continuavamo a sperare. La malattia con la quale il Generale Franco Monticone (nato ad Asti, il 13 feb.1940) ha combattuto in questi ultimi anni non concedeva tuttavia illusioni, anche se non era riuscita a piegarne il carattere e a ridurne la volontà di interpretare fino all’ultimo il ruolo di granitico Soldato nel quale si era imposto nel corso di una vita intensa.
Sarebbe ipocrita o almeno inappropriato affermare, come spesso si fa, che “se n’è andato in silenzio come in silenzio ha vissuto”. Se, infatti, è il silenzio la cifra di questi ultimi anni della sua vita, non lo è di tutta la sua vicenda umana, come accade a quanti lasciano veramente un segno del proprio passaggio a partire, ma non solo, dal ricordo di quanti lo hanno incrociato ed amato.
È stata una vita “rumorosa”, la sua, infatti, come ci si deve aspettare da colui che probabilmente ha interpretato nella maniera più emblematica una certa idea di paracadutista e di incursore italiano in questo dopoguerra.
Subito dopo la frequenza del 15° Corso presso l’Accademia Militare e la Scuola di Applicazione, venne assegnato alla specialità alpina, dalla quale transitò a richiesta nei paracadutisti dove comandò la XV compagnia del 5° Battaglione. Ma non era ancora abbastanza per lui che volle quindi entrare in quello che allora si chiamava Battaglione Sabotatori Paracadutisti, qualche anno dopo ribattezzato 9° Btg. d’Assalto par. “Col Moschin”.
E nel Col Moschin portò tutta la sua passione di Soldato, fino a comandare l’unità tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, quando su di lui puntarono i vertici delle Forze Armate per creare un’unità in grado di confrontarsi con la nuova minaccia del terrorismo. “Il battaglione” come lui avrebbe continuato a chiamarlo anche dopo l’elevazione ordinativa a Reggimento, rappresentava la sintesi più alta dello spirito e delle tradizioni che facevano capo alla storia della Folgore e a quella dei reparti Arditi della 1^ Guerra Mondiale, e in quanto tale costituiva l’ambiente ideale nel quale innestare nuove capacità.
Grazie alla sua forza carismatica, seppe sfruttare al meglio la “chimica” particolare che lega i componenti all’unità, proponendosi al tempo stesso quale loro Comandante – risoluto ad ottenere quello che ci si aspettava da lui e dai suoi uomini – e Capo Branco di un’unità che ha nel volontarismo spinto dell’Ardito e nell’identità orgogliosa del Paracadutista i propri più travolgenti valori aggiunti.
Il reparto reagì nella maniera giusta, proiettandosi, sotto la sua guida, in nuove attività. Se fino a quel momento l’unità si era addestrata soprattutto sulla mobilità e al combattimento ambientale, dall’alta montagna all’ambiente marino e subacqueo, con lui si concentrò anche sull’addestramento al combattimento più tecnico, senza comunque abbandonare la sua natura originale.
E questo non sarebbe potuto accadere se in quel momento non ci fosse stato uno come lui, in grado di assumersi responsabilità nuove, per nuove attività e per nuovi rischi che dovevano affrontare i suoi soldati e lui stesso. Fu quindi nel contesto della lotta al terrorismo che con lui che iniziammo le esercitazioni di irruzione a fuoco all’interno di strutture abitative sfruttando casolari deserti che all’epoca ancora erano disponibili in Toscana e che i proprietari ci lasciavano utilizzare. Inventammo con lui i sistemi più impensabili per aprire porte, finestre e muri e per illuminare la notte in un’epoca nella quale le meraviglie dei visori notturni erano ancora di là da venire. E in quelle condizioni facevamo brillare cariche esplosive per aprire porte e muri, correvamo e sparavamo spintonandoci per stanze buie, sempre rigorosamente in esercitazioni nelle quali era esclusa ogni possibilità di ricognizioni o prove in bianco di preparazione.
Ma non si limitò a farci zompettare (come diceva lui) per boschi, monti e casolari, per fiumi e mari, alla ricerca di qualche capacità non ancora acquisita o da perfezionare. Seppe trasferire il tutto in documenti e approfondimenti dottrinali e tecnici che si rivelarono preziosi anche per altri reparti, come quelli Speciali delle Forze dell’Ordine, quando a loro volta decisero di dotarsi di specifiche capacità di antiterrorismo.
Il “battaglione” rappresentò solo l’inizio di una carriera che si preannunciava splendida e che lo vide successivamente quale Capo di Stato Maggiore, Vice Comandate e poi Comandante della Brigata paracadutisti “Folgore”. In questi ruoli trasferì nella Grande Unità, che a quei “bei tempi” assommava a più di diecimila uomini e includeva realtà atipiche come il Battaglione Carabinieri Tuscania e il 26° Gruppo Squadroni dell’Aves, la spregiudicatezza e la tensione operativa che aveva già trasmesso al Col Moschin, premendo l’acceleratore dell’addestramento quale funzione principale ed essenziale del Soldato, senza la quale lo stesso tale non è.
Rese operativa la sua profonda conoscenza della dottrina militare a tutto tondo e soprattutto la sua caratura di esperto delle tattiche della Fanteria, affermandosi quale ideatore ed organizzatore di importanti e innovative esercitazioni che consistevano spesso nella riscoperta e nell’aggiornamento di capacità dimenticate per colpa della falsa idea che cominciava a farsi strada, secondo la quale la tecnologia sarebbe stata in grado di sostituire l’impegno duro, ruvido e disagevole, sul campo, del soldato. Quest’ultimo doveva essere forte, resistente, motivato, con capacità che non potevano che essere frutto di applicazione continua e di pesanti sacrifici. E di sacrifici se ne addossò egli stesso, non facendo mai mancare la sua presenza, i suoi incoraggiamenti e i suoi devastanti “cazziatoni”, quando necessario, ma sempre con lo spirito di chi si sente al servizio dei propri uomini e di chi coltiva l’etica del dovere come regola di vita alla quale non è consentito sottrarsi. A nessun costo.
Per questo, non ha mai fatto mancare a chi ne aveva bisogno il suo aiuto, impegnandosi in prima persona e risolutamente a questo fine.
Seppe imporsi quale esempio per parigrado e collaboratori, nonché quale impegnativo riferimento per i suoi superiori, in qualche caso costretti dal suo rigore operativo ad alzare l’asticella delle loro stesse prestazioni di comando.
Ma fu soprattutto nei confronti dei più giovani che esercitò la maggiore fascinazione, circondandosi di un vivaio di Ufficiali e Sottufficiali che ne avrebbero seguito le orme, ognuno nel proprio ambito, confermandosi riferimenti nelle minori come nelle Grandi Unità della Forza Armata.
Il “passaggio” del Gen. Monticone, “Battilocchio” come lo chiamavamo dal nome del personaggio di fantasia protagonista delle sue “parabole” educative nei confronti di noi entusiasti ragazzini, ha dato impulso al percorso che ha portato il Col Moschin, la Brigata paracadutisti Folgore e poi tutto il comparto “speciale” dell’Esercito, ai livelli di efficienza operativa attuali.
Ma è soprattutto l’Esercito stesso che deve anche a lui l’acquisizione di molte delle capacità addestrative ed operative che hanno consentito di affrontare un futuro spesso difficile, nel quale i suoi baschi amaranto avevano sempre un ruolo di primo piano.
Col collocamento in quiescenza una ventina d’anni fa, non ha smesso di seguire il suo “battaglione” e la sua Brigata, con estrema discrezione e quasi con timidezza, alimentando il suo orgoglio di incursore e di paracadutista nell’ambito dell’Associazione Nazionale Incursori e quale Presidente onorario della sezione romana dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia i cui eventi seguiva con passione costante.
È stata una generazione di Comandanti e di paracadutisti generosa, quella nella quale lui si impose in quegli anni. Per questo, con lui e con i molti come lui, di tutti i gradi, che stanno “passando” in questi anni, tramonta veramente un’epoca. Un’epoca della quale, anche per merito suo, non possiamo non provare nostalgia, seppur senza rimpianti.
Folgore!
Il Presidente Nazionale
Gen. C.A. Marco Bertolini
Caro Marco,
Grazie di cuore per lo splendido e lucido scritto con il quale richiami a tutti noi lo spessore e la personalità del gen. Monticone, quanto da lui fatto per la Folgore e, infine, i momenti indimenticabili di quell'”epoca” per noi giovani ufficiali di allora.
Folgore!
Rarità di guerrieri, ma prima uomini con la u maiuscola!
Nessuno meglio del Generale Bertolini, avrebbe potuto delineare un profilo umano e professionale così limpido e veritiero. Rivolto ad un Comandante con la “ C “ maiuscola. Un ufficiale carismatico che ci ha sempre comandato con estrema dedizione, rispetto, professionalità e soprattutto Esempio.
Un gran uomo e un grande comandante.
Onorato di aver servito in brigata sotto il suo commando. Buon viaggio Generale
Grazie Comandante,
Quanto riportato è solo un granello di sabbia rispetto la grande “ spiaggia “ .
Cieli Blue “ Aquila “ che Il riposo eterno ti sia lieve.
Il tuo “ passaggio “ non è stato ne vago ne di poco valore , il tuo “ grugno” rimarrà impresso per sempre nel cuore e nell anima di tanti “ ragazzi “ non come un monito ma come segno di eterna “ fratellanza “.
Riposa in pace.
R.I.P.
Se ne è andato un amico! Una persona che ha creduto fermamente nella propria uniforme , nella propria missione. La Patria il suo primo ideale!
Addio Comandante
Lo ricordo a Livorno comandante la 15 compagnia,giri di campo mattutini,la presenza alla compagnia con la inseparabile pipa,Buon viaggio,capitano.
Sono stato suo “vice” quando come sgt. AUC ero stato inquadrato nella 15^ CP a Livorno nel gennaio ’66. quei tre mesi (poi mi promosse sten. e fui trasferito a Pisa) non li dimenticherò mai: mi ha aiutato a crescere e maturare nel raggiungimento dei miei obiettivi nella vita. Mi rammarica il fatto di non averlo più incontrato. Folgore!Enz
Folgore 15 comp I diavoli neri anno 1966 il mio capitano era Franco monticone mi dispiace era un grande lo ricorderò per sempre Folgore